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Scheda Damian

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    Quando finirà la mia storia, inizierà la mia leggenda!

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    • Damian Travers è un personaggio nato dalla mia fantasia, quindi è vietata la copia intera o parziale dei contenuti qui riportati! Grazie <3

    • La grafica e codici sono tutti ad opera mia. La copia è vietata. Se volete qualche aiuto sarò felice di darvelo, basta inviarmi un MP! :D

    • Ovviamente i +1 sono sempre graditi. Sì, cerco affetto xD

    • Il prestavolto è Thomas Brodie-Sangster


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    •Nome: Damian. Dal nome latino Damianus, a sua volta dal greco antico Δαμιανός (Damianòs). L'origine è incerta; alcune fonti lo riconducono al nome di Damia, una divinità greca della fertilità (poi identificata con Cerere o con Cibele); in questo senso, Damian andrebbe tradotto come "devoto a Damia" o "consacrato a Damia" (o anche "discendente di Damia"). Un'interpretazione diffusa, tuttavia, accosta questo nome al verbo greco δαμαω (damao) o δαμάζω (damàzho), che vuol dire "domare", "sottomettere", da cui anche Damaso e Admeto, quindi "domatore"; non è escluso, però, che sia il nome della dea Damia a derivare dal verbo δαμάζω (nel senso di "colei che doma, che sottomette"), ipotesi che, qualora fosse vera, rimanderebbe in breve alla prima interpretazione - quella relativa al culto di Damia. Alcune altre ipotesi, infine, lo riconducono anche al termine greco δαμος (damos), "gente", "popolo", quindi "uomo del popolo".
    •Cognome: Travers.
    •Lugo di Nascita: Inveraray, Scozia.
    •Data di Nascita: 26 Luglio 1909.
    •Età: 11 Anni.
    •Altezza: 148 cm.
    •Peso: 40 kg.
    •Capelli: Biondi e perennemente arruffati.
    •Occhi: Grigi come il cielo in tempesta.
    •Segni particolari: Ha una cicatrice sotto al mento che si è procurato durante una delle sue spericolate avventure. I genitori hanno deciso di curarlo con i metodi tradizionali, affinché quel segno gli ricordasse come si deve comportare un signorino di buona famiglia.
    Curiosità: Porta sempre un tovagliolo di stoffa bianca strappato, che sembra più una pezza, intorno al polso. Quest'abitudine è nata in seguito alle continue ferite che si procurava durante i giochi, la pezza gli serviva per tamponarle e medicarle superficialmente.
    •Padre Biologico: Edmund Travers.
    •Madre Biologica: Eika Rosier.
    •Stato di Sangue: Purosangue.
    •Segno Zodiacale: Leone.
    •Colori Preferiti: Arancione.
    •Sesso: Maschio.
    •Orientamento Sessuale: Etero.
    •Casata di appartenenza: Grifondoro. È forse Grifondoro la vostra via, culla dei coraggiosi di cuore: audacia, fegato, cavalleria fan di quel luogo uno splendore! E i più coraggiosi, i più audaci, i più fieri con ser Grifondoro marciavano alteri.
    •Conto bancario: A038
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    PROFILO PSICOLOGICO - The Rebel
    Fatemi capire, a voi piace passare tutto il giorno a non far nulla, magari stando seduti sul divano, a leggere un libro o semplicemente a dormire? No, siete pazzi, io lo odio. Come si fa a rimanere per così tanto tempo fermi? Io mi sentirei impazzire; dovrei fare per forza qualcosa, muovermi, tenermi occupato in qualche modo. Volete mettere il divertimento a correre in un prato o a giocare al cacciatore in un bosco o a ridere a squarcia gola e senza ritegno, col stare fermi a guardarsi intorno? I miei genitori questo vorrebbero da me, che stessi tutto il giorno seduto su quella cavolo di scrivania a scrivere, leggere, studiare o che cacchio ne so io; no, non se ne parla è fuori discussione! Non sarò mai come mio padre, composto, ordinato, elegante e sempre con quel falso sorriso in viso. Quanto è bello essere spensierati, fare tutto ciò che si vuole senza doversi preoccupare di niente e di nessuno, dire le cose come stanno senza dover fare buon viso a cattivo gioco e sentirsi liberi, vivi!
    Le regole, le imposizioni, sono tutte cose che odio, cose che limitano la natura di ognuno di noi, ci rendono schiavi, burattini. Non posso far a meno di ridere ogni volta che mi ritrovo in una delle feste organizzate da mio padre. Mi siedo nella sala centrale e mi guardo per un attimo intorno: sono tutti uguali, tutti dannatamente simili, sputati in quei vestiti eleganti e con quei modi di fare palesemente falsi e mi chiedo, saranno felici delle loro vite? Il figlio di quel nobile purosangue, sarà contento della propria vita? Una vita che non gli appartiene, che è stata decisa sin da prima della sua nascita?
    Beh, per quanto mi riguarda, io vi rispondo, no! Non sono felice e non ho nessuna intenzione di essere un burattino nelle mani dei miei sadici genitori. Stanno sempre a parlare dei loro strani e loschi affari e non li vedo mai ridere. Credetemi, da quando sono nato non ho mai visto mio padre ridere di gusto, non so neanche se ne è capace, arrivati a questo punto. Ad ogni modo, cari lettori, vi dico, viva la vita, viva la libertà, la spensieratezza e la sincerità! Divertitevi… finché potete.
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    BG - Travers che spasso!
    «Che noia questa famiglia» pensò con sufficienza, saltando dalla finestra della cameretta, sul ramo dell’albero adiacente.
    Si tirò su con le braccia e come se fosse un fenomeno da baraccone, una scimmia appena uscita dal circo, discese giù, sulla verde erbetta. Lanciò un ghigno tronfio in direzione della grande casa, e si allontanò a tutta birra nella parte opposta, percorrendo sentieri invisibili.

    Damian era il nome di quel diavolo travestito da ragazzino, discendente e niente meno che primogenito della nobile casata dei Travers. Dai vispi occhietti grigi, guardinghi e attenti, dalla bionda chioma sempre spettinata e dal vestiario trasandato, non sembrava proprio figlio di suo padre. Animo ribelle, spirito libero, mente brillante e svelta, lo rendevano una vera e proprio mina vagante. Non per niente 6 giorni su 7 era confinato in punizione nelle proprie stanze, o almeno era quello che il suo vecchio credeva. Quello che non sapeva, era che Damina amava con tutto il cuore quei giorni. Stare in punizione significava trascorrere l’intera giornata rilegato nella propria stanza, senza poter vedere o parlare con nessuno, fino all’ora di cena, tradotto: fare tutto quello che gli passava per la mente, senza dover ascoltare noiosissime lezioni e fare pallosissimi compiti. Bene, Damian non ci pensava proprio a rimanere chiuso in quelle tristi mura, e ogni giorno di punizione, dopo pranzo, sgattaiolava silenzioso dalla finestra della cameretta, tornando solamente pochi minuti prima dell’inizio della cena. Solo Dio e Genette Stewart, sapevano con quali passatempi si intratteneva. Tornava ogni giorno con i vestiti sporchi di polvere e fango e delle volte con qualche ferita su braccia e gambe, che nascondeva accuratamente alla vista dei genitori. Genette era una ragazzina mingherlina, dai modi di fare gentili e aggraziati, di un anno più piccola di Damian, figlia di una nobile famiglia babbana, risiedente a pochi metri dai Travers. I due si conoscevano da quando avevano memoria e Damian non faceva altro che coinvolgerla nelle sue spericolate avventure.
    Non c’è bisogno vi dica che Mr. Edmund Travers, non vedeva di buon occhio questa amicizia. Da purista del sangue qual era, considerava inaccettabile che il suo unico figlio maschio si legasse così ad un'inutile babbana o peggio se ne innamorasse, perciò, esasperato, un giorno decise di agire per il bene della sua famiglia, o comunque era ciò che lui credeva. Manipolò la mente dei coniugi Stewart, convincendoli a trasferirsi seduta stante, il più lontano possibile da lì.

    Quella sera, salutando Genette, come faceva sempre, Damian si inerpicò sull’albero ed entrò nella cameretta. Si cambiò il prima possibile, rispettando i canoni di presentabilità che il severo padre esigeva, e scese nella grande sala da pranzo della villa Travers.
    «Padre, Madre» salutò freddo prendendo posto a tavola.
    Iniziò a mangiare, senza degnare di uno sguardo i genitori, che al contrario lo stavano fissando da quando era arrivato. Come il piccolo Travers si aspettava, fu il padre ad interrompere il pesante silenzio.
    «Allora Damian, dimmi, cos’hai imparato da questa… Ennesima giornata di punizione?» chiese freddo, con un tono di voce cantilenante, come se ripetesse la stessa domanda, ormai da tempo immemore.
    Damian posò con tutta calma le posate nel piatto, finì di masticare, si pulì la bocca con il tovagliolo e puntò i suoi tempestosi occhi grigi in quelli celesti e freddi del padre. Fece un sorrisetto compiaciuto e rispose come tutte le altre volte a cui aveva dato risposta a quella domanda. «Che la solitudine e sicuramente meglio della vostra compagnia, padre» marcò l’ultima parola per sembrare ancora più sprezzante.
    Il padre rispose con lo stesso identico sorriso furbo del figlio, e Damian capì subito che c’era qualcosa che non andava.
    «Immaginavo avresti risposto così… Beh, sarai felice di sapere che la tua sarà l’unica compagnia di cui godrai da stasera in poi.»
    Damian continuò a fissare l’espressione compiaciuta del padre e l’ansia iniziò a montare in lui. Si ripeté in mente le parole del suo vecchio e capì: Genette!
    Lanciò il tovagliolo sul piatto, saltò dalla sedia, e corse il più velocemente possibile attraverso l’ampio corridoio della villa. I suono frenetici dei passi rimbombarono sulle pareti, accompagnandolo nel giardino, sotto gli occhi vigili di Mr. Travers.
    Arrivò alla dimora degli Stewart con il cuore in gola. Si fermò dinanzi alla sontuosa villa e notò subito che dalle finestre non traspariva nessuna luce ed il silenzio regnava sovrano.
    «Genette?» intonò timidamente, consapevole che nessuna risposta sarebbe giunta al suo richiamo.
    Quella sera stessa, a ritorno da casa, successe qualcosa che i genitori stavano aspettando da tempo e che conferì rinnovata consapevolezza al piccolo Travers.
    Damian, giunto a casa con gli occhi iniettati di sangue, il fiatone per la rabbia e i pugni stretti sui fianchi, si piazzò all’entrata della sala da pranzo, guardando il padre.
    «Quello che hai fatto…» iniziò a denti stretti. «Giuro sui nostri avi che prima o poi te la farò pagare!» gridò facendo esplodere la rabbia.
    Contemporaneamente tutti i coltelli levitarono, fermandosi ad un passo dal viso di Edmund. Rimasero fermi e minacciosi per qualche secondo, prima di ricadere per terra, insieme all’allontanarsi di Damian dalla stanza.
    Mr. Travers e Mrs. Travers si guardarono per un istante, compiaciuti per ciò che avevano visto. Erano più che certi che il figlio avesse ereditato poteri magici, ma quella, quella fu la conferma definitiva ad ogni possibile dubbio.
    Dopo quella sera, Damian non rivolse più la parola ai genitori, se non in casi eccezionali, come durante feste, incontri con altre famiglie, cene, tutto per salvaguardare l’apparenza dei Travers. Si concentrò sulla ferrea educazione che gli veniva impartita, scoprendo un grande interesse verso la musica classica ed il violino, senza però perdere occasione per sgattaiolare via, per affermare il suo anime ribelle ai genitori, fino al giorno dell’arrivo della lettera di ammissione alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
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    •Specie: Umano.
    •Allineamento: Caotico Buono. Il ribelle, segue i propri istinti senza pensarci due volte, senza preoccuparsi delle conseguenze o di poter infrangere regole. Non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e ama la libertà.
    •Schieramento: Nessuno.
    •Lavoro: Studente.
    •Abilità: ...
    •Patronus: Aquila. L’aquila, è simbolo di coraggio, saggezza e libertà. Vola imponente dei cieli sicura e spavalda, avvicinandosi al Creatore.
    •Bacchetta: 13 Pollici 3 1/3, Flessibile, Legno di Peccio, Nucleo di Piuma di Fenice.

    I fabbricanti di bacchette inesperti definiscono il peccio (o abete rosso) un legno difficile, ma così facendo rivelano solo la loro incompetenza. È piuttosto vero che serve una particolare maestria per lavorare questo legno, da cui si ricavano bacchette inadatte a chi è di indole nervosa o insicura, e che diventano davvero pericolose tra dita tremanti. Con le bacchette di peccio serve una mano ferma perché spesso sembra che la pensino a modo loro sul tipo di magia che dovrebbero essere chiamate a eseguire. Comunque, quando una bacchetta di peccio trova il suo partner ideale – nella mia esperienza un mago audace e con un buon senso dell'umorismo – diventa una magnifica assistente, profondamente fedele al suo padrone e capace di incantesimi spettacolari e di grande effetto.

    Questo è il secondo tipo di nucleo più raro. Le piume di fenice sono in grado di produrre una vastissima gamma di magie, anche se possono impiegare più tempo a dimostrarlo del nucleo di unicorno o di quello di drago. Esse rivelano grande iniziativa, comportandosi qualche volta di loro spontanea volontà: una qualità, questa, che molte streghe e maghi disapprovano.
    Le bacchette con il nucleo di piume di fenice sono le più schizzinose in fatto di proprietari, perché le creature da cui provengono sono tra le più indipendenti e distaccate del mondo. Queste bacchette sono difficilissime da domare e personalizzare, e la loro fedeltà si conquista con fatica.
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    ANNALES - PRIMO ANNO
    **Arrivo e Smistamento.
    Osservo sovrappensiero il paesaggio svettare sotto i miei occhi, mentre con sbuffi di fumo il treno macina binari. Il gomito poggiato al finestrino e la mano che regge la testa piegata di lato.
    «La famiglia Travers è Serpeverde da generazioni. Non deluderci!»
    Le parole di mio padre mi rimbombano nella testa, come l’eco di una voce lontana. Più ci penso e più non riesco a dimenticare il tono con cui l’ha detto. Quel “non deluderci” sembrava proprio una presa in giro, come se stesse dando per scontato che lo deluderò. D’altronde cosa mi aspettavo da lui, che mi augurasse buona fortuna e che mi abbracciasse con un sorriso come fanno tutti i padri del mondo? Una risata che assomiglia ad uno sbuffo, lascia le mie labbra. Sono ridicolo! In cuor mio, veramente speravo che questa volta sarebbe potuto essere diverso…
    Ma chi diavolo vuole finirci in Serpeverde. Di certo non io, soprattutto non ora che so cosa mio padre vorrebbe. Non l’accontenterò mai, mai! Il Cappello Parlante dovrà darmi ascolto, altrimenti lo strapperò con le mie mani. Schiocco contrariato la lingua al palato e nello stesso istante il silenzio nello scompartimento viene rotto dalla porta scorrevole che si apre lentamente. Una voce mi giunge alle orecchie, prima che gli occhi possano scorgerne il proprietario.
    «Ciao, è libero?» dice indicando i sedili vuoti.
    Un bambino mingherlino, dai ricci capelli neri e occhi verdi, mi fissa dall’ingresso. Lo squadro per un attimo, riemergendo dall’oceano dei pensieri. Ad occhio e croce è quanto me o forse poco più alto. Gli sorrido cordiale.
    «Ovvio, siediti pure!» dico, con un cenno della mano. «Io sono Damian Travers. Credo avrai sentito parlare di noi, la fama ci precede. Siamo la famiglia di Lupi Mannari che si ciba del cuore degli innocenti ragazzini come te!» affermo calmo e con la massima serietà, osservando il nuovo arrivato.
    Mi aspetto di vederlo correre fuori da un momento all’altro, magari gridando come una femminuccia, invece rimane lì, seduto e prontamente risponde: «Allora non avrò problemi, visto che sono tutto tranne che innocente!»
    Scoppia a ridere e io con lui. Ha una risata contagiosa, sembra un tipo davvero simpatico.
    «Devo ammettere che mi hai stupito sai? Ogni volta scappano tutti a gambe levate!» torno a ridere. «Comunque, come hai detto di chiamarti?»
    «Ah, scusa. Hardin, Hardin Frost! Sono al primo anno, ma mio fratello va ad Hogwarts già da quattro anni. Mi ha detto che è una figata, non vedo loro di arrivare.»
    «Anche io! So che il castello è pieno di segreti e passaggi nascosti. Devo scoprirli tutti, passerò le giornate salpando all’avventura» rispondo ridendo. Parlare con lui non ha fatto altro che aumentare ancora di più la mia eccitazione e le mie aspettative.
    «Dimmi un po’, ma il cappello parlante ascolta in qualche modo le richieste di noi studenti? Nel senso, se io volessi evitare di finire in una casata, mi ascolterebbe?» chiedo, sperando in una risposta affermativa.
    Hardin mi guarda per un attimo, come se fosse incerto se dirmi quello che sa o meno. Poi si muove, si sporge verso di me e con aria complice inizia a parlare in un sussurro.
    «Damian, ti dico un segreto che mio fratello ha rivelato solo a me. Il cappello ascolta le nostre richieste. Basta dirgli in che casata vuoi finire o dove non vuoi andare, per convincerlo. Mio fratello l’ha fatto! È finito nei Serpeverde!»
    «Oh…» rispondo, tornando a poggiarmi allo schienale.
    Non sono proprio convinto che questa sia un informazione tanto segreta che solo suo fratello sa, ma non ho intenzione di dirgli niente. Per lo meno ora ho la sicurezza che mio padre non mi vedrà mai nella sua casata preferita.

    ...

    «Avete sentito che il cappello non è così cattivo come si dice? Io gli chiederò di farmi entrare nei Tassorosso!» ha appena detto un ragazzino cicciottello e dai capelli rossi, che condivide con me, Hardin e un tipo taciturno la barca che ci sta portando al castello.
    «Ma mai nessuno vuole finire in Tassorosso, solo tu!» mi lascio scappare inconsciamente. Noto subito il dispiacere impadronirsi del volto del ragazzino, per questo mi accingo a rimediare. «Però penso che siano tutti un branco di idioti, davvero. Nessuno capisce veramente il fascino di questa casata. Spero proprio tu possa capitare lì!» gli rivolgo il sorriso più falso e credibile che riesco a fare, e mi giro verso Hardin, per trovare la sua complicità.
    Lui non mi sta guardando, posso leggere nel mio nuovo amico, una nota di dispiacere. Avrà capito che il segreto di suo fratello, non è poi proprio un segreto. Avrei voluto avvertirlo sul treno, ma sembrava così preso, mi dispiaceva infrangere i suoi sogni. Ad ogni modo non sono neanche sicuro che il cappello esaudisca proprio tutti i nostri desideri. Voglio dire, finiamo in una casata in base alle caratteristiche che ci distinguono. Non credo proprio di finire in Tassorosso – anche se lo chiedessi – se il cappello non nota in me nessuna qualità di quella casata. Sono tentato di condividere i miei pensieri con i tre ragazzi, ma la speranza che leggo negli occhi del cicciottello mi fa desistere da ogni intenzione.
    Rimango a bocca aperta, nello scorgere la sagoma del castello illuminato a festa, che svetta imponente sul lago, squarciando il buio della notte. È addirittura più grande di quanto potessi immaginare. Mi sembra già di poter vedere tutti i cunicoli nascosti che passano sotto terra, tra gli spessi muri perimetrali, che dal basso portano verso una delle alte torri. Sto già viaggiando, la mia mente ha già aperto al strada a millemila possibili scenari avventurosi che aspettano solo di essere esplorati. Scuoto la testa per scacciare quelle fantasticherie, ancora con la bocca aperta e gli occhi grigi che brillano per lo stupore.
    Non sono mai stato così su di giri come oggi, in tutta la mia breve vita. Ogni nuovo passo, nell’immensità di quella scuola, mi rende euforico al limite del possibile. Mi viene quasi voglia di correre e di urlare. Di sentire l’eco della mia voce rimbalzare sulle alte pareti di pietra. Mi sto per lanciare all’inseguimento di un fantasma che ci passa di fianco, quando un grande portone si apre dinanzi a noi, facendoci accedere in una sala veramente troppo grande, dal soffitto altissimo, che rispecchia la volta celeste.
    «Mio dio!» mi lascio scappare, con il naso all’insù, completamente rapito da quella visione. «Se questo è un sogno, per favore non svegliatemi per nessun motivo al mondo!»
    Un chiasso assordante di voci giunge alle mie orecchie. Mi costringo a guardare intorno a me, e solo ora mi accorgo di essere nel centro di una enorme sala, occupata da 4 enormi tavolante, tutte interamente sommerse da studenti. Di fronte a me, su uno sgabello, è riposto un vecchio capello e dietro, un lungo tavolo con vari individui, seduti gli uni di fianco agli altri. Osservo di nuovo il cappello rattoppato e non posso far a meno di essere leggermente deluso. Mi aspettavo qualcosa di più… vistoso, per un cappello parlante. Però, quando inizia a parlare e a smistare i primi alunni, non posso fare a meno che considerarlo l’oggetto più figo che abbia mai visto.
    Più l’elenco avanza e più noto una certa agitazione impadronirsi dei compagni che si trovano alzati insieme a me. Io invece, io sono tutto tranne che agitato. Non vedo l’ora che arrivi il mio turno. Sono troppo curioso di vedere da vicino quell’oggetto. Cavolo parla, cioè, ho capito che siamo maghi, ma come diavolo è possibile dare una coscienza ad un oggetto? Vabbè, chi se ne frega, voglio lanciarmi all’avventura. Sto letteralmente saltando sul posto. Se non mi chiamano entro due secondi mi metto a correre, non resisto più, sono troppo…
    I miei pensieri vengono interrotti da una voce che chiama il mio nome. Finalmente, quanto ci è voluto! Mi fiondo letteralmente sullo sgabello e attendo.
    «Cavolo è troppo grande!» mi lamento a denti stretti, alzandomi con una mano il cappello che mi è ricaduto sugli occhi.
    Sento l’indumento prendere vita e ridere divertito del mio commento.
    «Sei tu che hai la testa piccola, forse hai un cervello piccolo, per questo» lo sento blaterare.
    Ma che simpaticone. Ci mancava solo un cappello sarcastico. Perché non ci muoviamo invece? Non ho…
    «Se sei così impaziente allora potrei spedirti tra i Serpeverde, che ne dici?» mi interrompe il vecchio copricapo.
    Ma come? Mi leggi nel pensiero eh, vecchio furbacchione. Se è così, lascia che ti dica due cose. Mio padre vuole che io diventi un Serpeverde, ma visto che non ho voglia di accontentarlo, per favore, spediscimi da qualsiasi altra parte, ma non in Serpeverde. Seconda cosa, non ho il cervello piccolo, penso leggermente imbronciato.
    Lo sento ridere di nuovo, e i suoi movimenti me lo fanno ricadere sugli occhi. Lo rialzo con una mano e lo sento parlare.
    «Beh se è così, lasciami sondare la tua mente…»
    Annuisco involontariamente e per poco non rischio di farmelo scivolare giù dalla testa. Me lo sistemo in modo frettoloso e mi costringo a stare fermo. Non ho la più pallida idea di ciò che il cappello possa poter leggere nel mio cervello, ma devo ammettere che mi incuriosisce e non poco. Più rimango immobile e più sento qualcosa crescere dentro di me. Inizio a muovere il piede destro, per scaricare un po' di quella oppressione che sta prendendo il sopravvento. Odio stare per troppo tempo fermo e odio ancora di più le attese, non potresti diciamo... Sbrigarti, in qualche modo?
    Nessuna risposta.
    Non so dire con precisione se non ha aperto bocca in quanto troppo concentrato pure per ascoltarmi, o semplicemente troppo stronzo per rispondermi, ad ogni modo sto combattendo con tutto me stesso per non afferrarlo e lanciarlo brutalmente per aria.
    «GRIFONDORO!» grida d'improvviso.
    Per poco non cado dallo sgabello. Fisso un piede in avanti per reggermi e ritorno faticosamente in posizione eretta. Una cartolina, o magari un piccolo preavviso no, eh? Troppo difficile vero? Accidenti a te, mi è quasi preso un infarto! Lo sento sghignazzare sulla mia testa, prima che due mani lo sollevino, per permettermi di andare in direzione del tavolo i cui assediati stanno applaudendo e gridando come dei forsennati. Ho capito che sono un figo, dalla mente brillante e dall'ingegno fino, ma non vi sembra di star esagerando un po'?
    Avanzo, con un sorriso tirato sulle labbra per lo sconcerto, girandomi in tutte le direzioni mentre vengo colpito da mani invisibili. Corro a prendere posto di fianco ad Hardin. Sì, anche lui è un Grifondoro come me. Si prospetta un anno davvero movimentato.

     
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